Il femminicidio

Si parla, di come alcune persone hanno definito la parola femminicidio, e delle conseguenze che ha provocato.

 Femminicidio dal 1991-2004


Il termine femminicidio si riferisce a tutti quei casi di omicidio in cui una donna viene uccisa da un uomo per motivi relativi alla sua identità di genere

La parola femminicidio ha origini molto recenti: solo nel 1992 Diana Russel, con il termine femmicidio, ha definito una violenza estrema da parte dell’uomo contro la donna «perché donna». Subito dopo è stata la messicana Marcela Lagarde a battezzare quello stesso fenomeno con la parola femminicidio.

L'antropologa messicana Marcela Lagarde scrive nel 1997


Il Femminicidio coinvolge regole restrittive, politiche predatorie e modi alienanti di vivere che, insieme, costituiscono l'oppressione di genere, e la loro realizzazione radicale porta all'eliminazione simbolico e concreta delle donne ed al controllo del resto.

 

Il femminicidio richiede complicità e consenso accettando molteplici principi concatenati: interpretando il danno per le donne come se non fosse tale, tergiversando su cause e motivazioni e negando le sue conseguenze. Tutto questo viene fatto per sottrarre la dannosa violenza contro le donne alle sanzioni etiche, giuridiche e giudiziarie che incorniciano altre forme di violenza e lasciare le donne senza ragione, senza parola e senza essere in grado di rimuovere tale violenza.


Gli omicidi basati sul genere si manifestano in forme diverse ma ciò che accomuna di più tutte le donne del mondo è proprio l’uccisione a seguito di violenza pregressa subita nell’ambito di una relazione d’intimità. Queste morti “annunciate”, vengono spesso etichettate come i soliti delitti passionali, fattacci di cronaca nera, liti di famiglia. Le donne muoiono principalmente per mano dei loro mariti, ex-mariti, padri, fratelli, fidanzati o amanti, innamorati respinti. Insomma per mano di uomini che avrebbero dovuto rappresentare una sicurezza.



I numeri in Italia sono impietosi: muore di violenza maschile una donna ogni due o tre giorni. Ma questi sono appena un’approssimazione: non esiste, infatti, un monitoraggio nazionale che metta insieme i dati delle varie associazioni con gli sforzi dei volontari fai-da-te e con quelli delle istituzioni che a diverso titolo hanno a che fare con la violenza contro le donne: quando non si conosce un fenomeno o addirittura lo si disconosce è impossibile affrontarlo.

È possibile salvare le donne dalla violenza domestica?

Il femminicidio è una piaga che oramai, soprattutto in Italia, ha assunto un carattere nazionale che non si riesce più ad arginare. Considerato un fenomeno culturale ancor prima che sociale, nel nostro Belpaese macina un numero sempre maggiore di vittime.

La Convenzione di Istanbul, approvata solo pochi giorni fa dalla Camera, rappresenta solo un piccolo passo nella direzione giusta, quella che porta verso la tutela della donna. Dal 2003, Patricia Scotland, da ministro della Giustizia inglese, ha lanciato e coordinato un efficace piano d’azione contro la violenza domestica grazie al quale il numero di morti dovuti a questo fenomeno è diminuito di oltre il 60%.


La parola femminicidio suona male. Però serve a definire in modo appropriato la categoria criminologica del delitto perpetrato contro una donna perché è donna, è necessario. Per capire e spiegare meglio contesti, cercare di non banalizzare il fenomeno e di non ridurlo a una invenzione mediatica. Anche perché i numeri parlano chiaro. Oltre 100 i femminicidi dall’inizio dell’anno. Praticamente uno ogni tre giorni. In giugno Camera e Senato hanno avviato un iter legislativo per contrastare la violenza sulle donne: attraverso la ratifica della Convenzione di Istanbul e della presentazione in agosto di un decreto legge, convertito in legge pochi giorni fa. Provvedimento che, però, ha attirato su di sé svariate polemiche e che ha subito continui rinvii nella sua finalizzazione.